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LEWIS

Di

Cathelijne van den Bosch

Pubblicato il

Luglio 14, 2017

Tag

Innovazione, PR

Table of Contents

    Quante volte è capitato che una grande idea in grado di generare visibilità gratuita si bloccasse all'interno dell’azienda? Quante volte gli articoli a firma vengono rivisti e modificati fino a farli diventare un annuncio pubblicitario? Quante volte la tua agenzia di Relazioni Pubbliche rilascia un nuovo comunicato stampa, pur sapendo che probabilmente non sarà ripreso dai media?


    TEAM LEWIS Global CMO Report

    Global CMO Report

    Come si affrontano le complessità del mercato? Quali tecniche e tecnologie permettono di raggiungere gli obiettivi? Abbiamo intervistato centinaia di CMO per scoprirlo.

    Queste sono solo alcune delle divergenze tra le moderne agenzie di PR e le aziende più tradizionali. Ma come possiamo convincere i clienti ad abbandonare l’approccio del “ma io ho sempre fatto così” per spingerli a provare tecniche di digital PR più all’avanguardia?

    Spesso le aziende non si rendono nemmeno conto di avere a che fare con delle PR tradizionali. Di seguito otto segnali in grado di farci capire se ci troviamo di fronte a un cliente di questi tipo:

    1. Sguardo rivolto solo all’interno della realtà aziendale

    Le PR non consistono solamente nel veicolare un messaggio in modo unilaterale e chiuso nei confronti del mondo esterno, che risulta molto più connesso rispetto al passato. Le linee di comunicazione si incrociano e i consumatori ricoprono oggi un ruolo cruciale nell’intero panorama media. È arrivato il momento, per le aziende, di togliersi i paraocchi e aprirsi verso l’esterno guardando alle PR digitali: non basta più fornire il messaggio, ma è necessario raccontare la storia che i consumatori vogliono ascoltare.

    2. Contratti rigidi e basati sui numeri

    Il comunicato stampa delle traditional PR era considerato l’obiettivo e non il mezzo attraverso il quale raggiungere l’obiettivo. Ma oggi, con le digital PR, non è più così: si ha una visione più ampia che prende in considerazione diversi modi per raggiungere gli obiettivi. Ne consegue che i contratti con una quantificazione precisa dei comunicati stampa e dei blog post sono ormai superati. La campagna PR deve essere più flessibile e in grado di adattarsi alla situazione, in grado di modificare il piano delle attività in base alle esigenze mutevoli, ad esempio, sostituendo un comunicato stampa con dell’advertising sui canali social.

    3. Misurare il successo di una campagna attraverso l’AVE

    Spesso le aziende pensano di determinare il ROI di una campagna calcolando l’impatto che l’azione di PR aveva sui media attraverso la quantificazione della presenza ottenuta sui media in valori pubblicitari. Ma ci sono molti altri metodi per misurare il successo dell’attività. Per esempio, se le analitiche sono state impostate correttamente, è semplice determinare il percorso dei visitatori verso il proprio sito e scoprire se vi sono arrivati grazie alle attività realizzate dall’ufficio stampa.

    A questo proposito, sono molte le agenzie a sostenere la campagna di AmecOrg (Official page for the International Association of Measurement & Evaluation of Communication) contro l’utilizzo dell’AVE per misurare l’efficacia di campagne PR (#SayNoToAves).

    4. Sito internet statico e privo di contenuti visuali

    Un sito web moderno è dinamico e reattivo, fruibile da qualunque dispositivo e con contenuti visuali forti. Un sito attraente invoglia i visitatori a trascorrere più tempo sulla pagina. Lo spazio sul web, oltre a essere esteticamente accattivante, deve anche essere adatto allo scopo e contenere tutte le informazioni di cui l’utente ha bisogno. Un sito internet non è solo un biglietto da visita completo per l’azienda, ma deve anche rispondere alle richieste dei visitatori.

    Digital PR e PR tradizionali

    5. Contenuti “usa e getta”

    Capita spesso che le aziende facciano grandi sforzi per produrre un bel contenuto da piazzare sui media. Ma in pochi sanno che il ciclo di vita del contenuto può anche non finire una volta che viene pubblicato l’articolo. Esso, infatti, può venire condiviso sui social media, riscritto in forma di blog post o venire usato come punto di partenza per un’infografica. L’attività di content marketing deve avere una prospettiva più ampia, un calendario e una strategia ben precisa per sfruttare tutti i canali disponibili.

    6. Compartimenti stagni

    Le grandi aziende sono solitamente divise in dipartimenti, ognuno con i propri budget, obiettivi e responsabilità. Questi tendono a sviluppare una visione a tunnel, cercando di massimizzare gli sforzi senza collaborare con i membri di altri team. Questa struttura impedisce la condivisione di contenuti e competenze tra dipartimenti, importante per creare nuove opportunità per l’intera azienda.

    7. Processi di lavoro cristallizzati

    Portare a termine un lavoro diventa molto complicato se ci sono molte persone a voler dare il proprio feedback sul contenuto. Ognuno ha infatti un proprio punto di vista e stile, quindi più persone interferiscono nella creazione del contenuto e maggiore sarà la possibilità che il risultato finale sia una pubblicità senza senso. Senza contare poi le perdite di tempo che derivano dai processi di approvazione a più livelli. Questo modo di lavorare deve essere sostituito da un flusso più veloce e più efficiente – come richiede la nostra era digitale, in cui le news, in pochi, minuti diventano vecchie.

    8. Attività di PR isolate da tutto il resto

    Anni fa le PR venivano percepite come un buco nero dove i soldi sparivano. Ma quei giorni sono finiti. Una strategia di PR digitali è oggi considerata una parte essenziale dell’intera strategia di marketing, fa parte di un quadro più ampio, insieme al marketing, alla creazione di contenuti e al digital marketing. Solo quando l’azienda adotterà questa visione sarà possibile ottenere il massimo dall’investimento.

    Che dite, ne vale forse la pena abbandonare le PR tradizionali e passare alle Digital PR?

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