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LEWIS

Di

TEAM LEWIS

Pubblicato il

Marzo 7, 2024

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Nel secondo episodio della nuova stagione di Una Cosa Al Volo, parliamo ancora con l'avvocata Costanza De Porcellinis, partner dello studio legale FPB Legal, a proposito di cookies, di mondo cookieless, di Intelligenza Artificiale e del copyright dei contenuti generati da AI.


Ascolta il 2 episodio della 2 stagione

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Avv. Costanza De Porcellinis, FPB Legal

L’avvocata Costanza De Porcellinis è equity partner di Ferrari-Pedeferri-Boni Studio Legale Associato (FPB Legal). Costanza opera nel campo del diritto commerciale e del diritto d’impresa e ha sviluppato negli anni una competenza specifica nella privacy e nel trattamento dei dati personali, nel diritto e nella gestione dei servizi e dei contenuti digitali e nelle materie del diritto delle nuove tecnologie (ad esempio, blockchain, internet of things, intelligenza artificiale). In particolare, presta assistenza e consulenza legale a favore di acceleratori di startup e PMI innovative, operanti nel settore digitale.

Podcast Una Cosa al Volo - Stagione 2 Episodio 2 Legale Digitale: Cookies e AI

 

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Tommaso: Riprendiamo da un altro topic molto importante che sono i cookies. La Commissione europea ha finalizzato una bozza chiamata Cookie Pledge, che sostanzialmente vuole rendere i cookies ancora più semplici e chiari. Puoi magari tornare indietro e riprendere i passi di questa regolamentazione per aiutarci a capire un po’ meglio?

Costanza: Non si può parlare di privacy digitale senza parlare di cookies ed è molto interessante la storia normativa che c’è dietro. I cookies, come la privacy, all’inizio degli anni 2000 erano – e sono tuttora – disciplinati in una direttiva dell’Unione europea del 2002, quindi c’è un testo europeo che fin da subito ha cercato di mettere alcune regole di funzionamento di questi strumenti digitali. Come dicevamo, la direttiva non è uno strumento che viene applicato in maniera univoca e immediata in tutti gli Stati membri, ma deve essere recepito attraverso un atto normativo interno. Non c’è nessuna legge in Italia che si occupa di cookies perché, a differenza della privacy che nella precedente direttiva era stata recepita all’interno di un decreto legislativo, sono stati disciplinati all’interno dei provvedimenti dell’Autorità garante della privacy italiana. Non stiamo parlando del legislatore, ma sicuramente è autorevole in materia, perché è quella che fa le sanzioni, quindi leggere che cosa dice l’Autorità garante dei dati personali è sicuramente molto importante e seguire quelle che sono le regole che pone il Garante è la base di partenza per l’utilizzo dei cookies. Però, per intenderci, non hanno avuto una normativa positiva, chiara e diretta né all’interno dell’Unione europea né in Italia.
Poi che cos’è successo? Mentre veniva redatto il GDPR in una stanza nei palazzi del legislatore europeo, ci si accorse subito della necessità di fare anche una normativa sui cookies. Ti faccio un esempio, per capirci: una delle regole che ha dato il GDPR è che il consenso al trattamento dei dati personali – che è un po’ la cosiddetta base giuridica più famosa per la raccolta, l’utilizzo e la condivisione dei nostri dati – deve essere sempre espresso, quindi deve essere un’azione positiva da parte dell’utente. Fino a qualche tempo fa, parliamo ormai di un paio d’anni, il consenso all’utilizzo dei cookies veniva raccolto implicitamente. Non so se tu ti ricordi, ma c’erano i banner all’interno dei siti Internet: bastava scrollare la pagina e il banner spariva. Quell’azione di “non mi interessa, vado giù” veniva considerata come un valido consenso. È chiaro che si era creato un contrasto tra la necessità per legge di avere un consenso espresso (contenuta nel GDPR, che dal 2018 è legge) e queste modalità di raccolta implicita dell’utilizzo di cookies che venivano applicati da tutti i siti Internet e che per il Garante italiano, così come per tutti gli altri garanti dell’Unione europea, erano considerati legittimi.
Come dicevo, nella stanza accanto c’era chi aveva iniziato a redigere il nuovo regolamento sui cookies, quindi scegliendo invece che la direttiva il regolamento, così come è stato fatto per la privacy. Da allora questo regolamento non è ancora stato approvato. Si dice che ci siano tutta una serie di freni all’adozione di un nuovo regolamento sui cookies, una grossa attività di lobby dietro e fondamentalmente la Commissione europea, con questa iniziativa di metà dicembre 2023, un po’ si è scocciata e ha detto “Noi sappiamo in che direzione dobbiamo andare, perché se dobbiamo far parlare il GDPR con l’utilizzo dei cookies bisogna cambiare le regole”. Questo regolamento è bloccato, non riusciamo ancora ad approvarlo, ma auspicabilmente lo sarà a un certo punto. Con questo Cookie Pledge, che di fatto contiene otto principi, la Commissione europea ha dato delle regole che non sono norma vincolante, però un po’ anticipano quello che dovrebbe essere il contenuto del futuro e-Privacy Regulation, il regolamento sui cookies.

Alessia: Io vorrei far notare in primis quando hai detto a Tommaso “Sicuramente ti ricorderai”… praticamente il vuoto, è troppo giovane per ricordarselo. Scherzi a parte, giustamente hai detto che in questo momento il regolamento è bloccato perché c’è una forte azione di lobby dietro. Chiaramente quando ci sono questi processi è perché ci sono una serie di interessi che spingono in una direzione piuttosto che in un’altra. Secondo te quali sono questi interessi? Come mai si è riusciti a portare a termine il percorso legato alla privacy digitale, ma sui cookies siamo ancora fermi? Quali sono i motivi per tenerlo bloccato, se ce ne sono?

Costanza: Sicuramente è una normativa molto tecnica e quindi è più complessa da scrivere, nel senso che i cookies sono dei marcatori temporali che consentono di tracciare l’attività di un utente che naviga su Internet e vengono conservati nei nostri device, che sia il cellulare o il computer che usiamo per navigare. Cercare di dare una normativa a una tecnologia che continua a evolversi è molto complesso, quindi sicuramente c’è un discorso di complessità della materia nel cercare di dare delle norme che quando vengono pubblicate non siano già vecchie. Il GDPR, proprio per evitare di cadere in questo errore, dà delle norme che sono abbastanza ampie, così da poter essere interpretate. Poi c’è chi dice che la blockchain abbia già superato il GDPR e quindi insomma, ogni normativa che abbraccia questi temi nuovi e innovativi sconta l’evidenza che la tecnologia è molto più veloce del legislatore.
Quando si parla di cookies chi sono i soggetti interessati? Da un lato, ci sono tutti quei cookies tecnici che aiutano a navigare meglio su Internet, quindi sono utili oppure funzionali per una migliore navigazione (come il sito che memorizza la password che abbiamo utilizzato nelle precedenti sezioni). Dall’altro lato, ci sono i cookies di profilazione, che aiutano a creare dei contenuti digitali più targhettizzati su preferenze, esigenze, desideri e possibili futuri comportamenti degli utenti. È un terreno sicuramente scivoloso, però, come abbiamo visto nel contesto del Digital Services Act, la comunicazione e il marketing sicuramente dovranno andare incontro a questa sfida di maggiore trasparenza nella propria attività. Nessuno impedisce di fare nulla, basta essere chiari. Allo stesso modo fondamentalmente bisognerebbe disciplinare l’utilizzo dei cookies di profilazione. Anche perché la grossa differenza tra le due tipologie che vi dicevo è che i cookies tecnici non necessitano del consenso espresso, basta che io ti dia l’informativa, poi uno se è interessato se la va a leggere (anche se la stragrande maggioranza delle persone non li legge neanche). Per i cookies di profilazione, oltre a dire “Io uso quei cookies di profilazione”, devo anche chiederti se sei d’accordo o meno nell’installazione di questo tipo di strumento marcatore all’interno del tuo computer, e questo ovviamente è tutt’altra cosa. Se un utente non è informato non può validamente esprimere un consenso. Quindi non posso risponderti esattamente su chi stia bloccando, però credo che ciascuno di noi possa farsi un po’ un’idea.
Sul fatto che arriverà il regolamento non non c’è ombra di dubbio. Tra l’altro, per completare, alla fine in tutti questi anni l’Autorità Garante italiana ha evoluto il proprio provvedimento per andare incontro alle nuove norme del GDPR. Infatti, adesso per accettare l’installazione dei cookies di marketing e di profilazione, ci viene chiesto di dare il nostro consenso. Non può più operare la regola – che Tommaso non ricorda – dello scroll della pagina Internet per dare l’ok all’utilizzo di questo tipo di cookies.

Tommaso: Peraltro, mi viene in mente anche un altro esempio che ha a fare con i cookies. A volte appare una finestra quando accedi al sito web e ti dice “O accetti i cookies, oppure ti abboni”. Secondo te questa è una cosa corretta? È una pratica che può essere considerata legale?

Costanza: Questo è un ottimo esempio. In realtà, è l’argomento trasversale a tutto quello di cui abbiamo parlato finora. Dal GDPR al Digital Services Act, adesso piombiamo sui cookies che mettono in evidenza la necessità di una disciplina sull’utilizzo dei dati personali come moneta di scambio. È da più o meno un anno che noi abbiamo visto che soprattutto importanti testate giornalistiche presentano questi cookie wall, finestre giganti dove ci spiegano che se vogliamo accedere ai loro contenuti abbiamo di fatto due possibilità, come dicevi tu: o ti abboni e paghi un abbonamento per accedere ai contenuti editoriali del giornale, oppure accetti tutte le impostazioni sui cookies (essenzialmente stiamo parlando dei cookies di profilazione e di marketing), perché sappiamo che con le inserzioni pubblicitarie le testate giornalistiche riescono a fare il loro mestiere anche nell’era digitale. L’avvento dell’era digitale per i giornali l’abbiamo un po’ vissuta tutti, quindi l’abbiamo vista con mano. Prima le vendite dei giornali cartacei riuscivano a coprire le spese del giornale digitale, quindi non si poneva il problema. Poi si è iniziato a differenziare la tipologia di contenuto, quindi quello cartaceo che mi paghi ha un contenuto più approfondito rispetto a quello digitale. Poi questo equilibrio si è perso totalmente e nell’ultimo anno abbiamo visto che hanno detto “O io ti chiedo un corrispettivo, oppure tu mi dai tuoi dati e io faccio le inserzioni pubblicitarie”. Il Cookie Pledge, che è l’iniziativa della Commissione europea che hai menzionato prima, tra i vari principi dice che se un servizio propone l’alternativa tra il pagamento di un abbonamento o di un prezzo e l’utilizzo di tutti i cookies di marketing e di profilazione, dovrebbe per forza prevedere una terza alternativa che è un utilizzo meno invasivo dei cookies.
Fondamentalmente abbiamo capito che c’è un problema, perché i contenuti creativi devono essere remunerati, altrimenti nessuno li farebbe. Quindi non si può bloccare totalmente la necessità e l’evidenza di avere un corrispettivo economico per chi crea contenuti. In questo caso stiamo parlando degli editori dei giornali, ma insomma, si potrebbe parlare di qualunque tipo di contenuto creativo. Però dovremmo quantomeno sforzarci di prevedere due diverse vie, una un pochino più invadente e l’altra invece più soft. Vedremo come andrà.

Alessia: Abbiamo parlato di come è abbastanza complessa questa strada verso l’approvazione del regolamento per i cookies, però c’è anche il fenomeno cookieless. È possibile un mondo senza i cookies, secondo te? E se sì, quali sono poi le ricadute anche per il settore del marketing?

Costanza: Un mondo senza cookies probabilmente è possibile. C’è un’altra modalità di classificazione dei cookies, oltre a quella fra tecnici o di profilazione, ovvero quelli di prima parte o di terza parte. I cookies di prima parte sono quelli che vengono creati e gestiti dal titolare del sito internet all’interno del quale vengono fatti operare e tramite il quale vengono installati nel device dell’utente. I cookies di terze parti, invece, sono quelli che vengono creati da altri domini, quindi da altri siti internet, e che si vanno a installare nel device dei singoli utenti per riuscire a tracciare l’esperienza di navigazione in maniera incrociata all’interno di tutti i vari siti e piattaforme che l’utente visita durante una sessione su Internet. Il fenomeno cookieless riguarda essenzialmente i cookies di terza parte. Ci sono alcune piattaforme come Safari e Mozilla che già non usano più i cookies di terza parte e il 2024 si è aperto con la notizia che Google vorrebbe togliere anche da Google Chrome i cookie di terza parte. Vediamo che quindi è un desiderata, perché nessuno sta imponendo niente. Non dico che non è una materia oggetto di attenzione normativa, ma non c’è un regolamento sui cookies che proibisca alcunché. In questo momento è sicuramente una scelta dettata da valutazioni più di opportunità commerciale che di necessità legale, mettiamola così.
Prima di venire qui ho letto tutta una serie di articoli e come sempre, quando ci sono questi tipi di fenomeni, c’è chi è catastrofico nel dire che avrà un impatto molto importante nell’industria della comunicazione e del marketing digitale e chi tende invece a vedere un po’ il bicchiere mezzo pieno e capire che, come tutte le innovazioni, ha delle opportunità. L’importante è riuscire a sfruttarle fin da subito.
Era nell’aria questa decisione di Google proprio perché, appunto, Safari e Mozilla nell’ultimo periodo avevano ricevuto un incremento di utenti, forse perché la gente è molto stanca di questi Cookie Wall. Infatti, il mondo dei cookies è caratterizzato dalla cosiddetta cookie fatigue: ogni volta che apriamo una pagina Internet siamo stufi di vederci quel wall, il quale rinvia a un’informativa privacy che sarebbe quella che noi dovremmo leggere per capire che cosa stiamo accettando e alla fine nessuno lo fa. La verità è che i cookies sicuramente sono da un lato un valore per chi fa marketing, ma dall’altro lato se aumenta la trasparenza siamo così sicuri che la gente accetterebbe l’installazione di questi strumenti? Più in là andiamo, più aumenta la nostra consapevolezza, più alla fine nessuno li vuole più. E allora forse ci dobbiamo evolvere e trovare altre soluzioni.

Tommaso: Un altro topic legato anche alla gestione dei dati degli utenti (e non solo) è l’Intelligenza Artificiale. È un tema che dal 2024 sarà molto più caldo per la recente approvazione dell’AI Act. Puoi descrivercelo per capire i principi e le eventuali conseguenze per i sistemi che utilizzeranno l’Intelligenza Artificiale?

Costanza: Stiamo sempre parlando del legislatore dell’Unione europea, che negli ultimi mesi del 2023 ha approvato una bozza di regolamento sull’Intelligenza Artificiale. Quindi torniamo al discorso precedente: è importante ricordare che il regolamento sarà una norma unica e applicata in tutti gli Stati dell’Unione europea. In realtà manca la finale approvazione da parte del Parlamento Europeo, quindi di fatto il regolamento non è ancora efficace e comunque entrerà in vigore normalmente con almeno due anni di gestazione. Sono normative ovviamente molto importanti, non è che entreranno in vigore il giorno dopo che vengono approvate, si lascia sempre un periodo di tempo. Anche per il GDPR fu così: la normativa è stata pubblicata nel 2016, ma è entrata in vigore il 25 maggio 2018. Bene o male si avrà lo stesso percorso anche per il regolamento sull’Intelligenza Artificiale.
È chiaro però che chiunque operi con l’Intelligenza Artificiale è bene che fin da oggi inizi a leggere quella che è la proposta di regolamento, che è la prima e unica normativa al mondo che si occupa di Intelligenza Artificiale. Su questo tipo di temi l’Unione europea segna dei record rispetto a tutti gli altri ordinamenti e questo è dettato dalla necessità di riuscire a garantire lo sviluppo o comunque l’utilizzo di questi algoritmi di Intelligenza Artificiale anche a tutti i player europei, ma nel fare ciò non si devono dimenticare quelli che sono alcuni diritti fondanti del nostro ordinamento. Quindi l’Intelligenza Artificiale non dovrà superare alcuni limiti che noi europei abbiamo e sono di vario tipo. Vi faccio un esempio concreto. Nel GDPR, dove nulla è vietato, basta verificare il rischio e darsi le giuste regole per gestire quel rischio derivante dal trattamento dei dati personali. All’interno del nuovo regolamento sull’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, invece, ci saranno alcune pratiche totalmente vietate, come per esempio quelle che consentono il monitoraggio dei cittadini, la categorizzazione in base a delle vulnerabilità e tutte quelle tipologie di Intelligenza Artificiale che effettivamente potrebbero avere un impatto pregiudizievole su tutti noi. Paradossalmente ci si potrebbe chiedere se effettivamente ci sia qualcuno che le sta sviluppando, ma forse no. La verità è che quando nasce una tecnologia, di per sé è neutrale e nessuno può impedire lo sviluppo tecnologico. È l’utilizzo che viene fatto di quella tecnologia che può renderla illecita e questo è il presupposto per il quale l’Unione europea ha deciso di scrivere un regolamento anche sull’Intelligenza Artificiale.
L’approccio a questo regolamento è quindi molto simile a quello del GDPR e chi pratica la materia della privacy troverà tante assonanze all’interno del regolamento perché, al di là di quelle intelligenze artificiali totalmente vietate perché palesemente illecite, ci saranno tutte le altre che dovranno prevedere come base fondante per il relativo utilizzo un’analisi del rischio. Chi le vorrà utilizzare dovrà prima chiedersi che impatto potrà avere la propria tecnologia sulla vita delle persone, analizzare il rischio e darsi delle regole. Poi i vari adempimenti che sono previsti sono di fatto quasi di natura “burocratica”: bisognerà fare un po’ di carte, fare dei report descrittivi di queste intelligenze artificiali e impegnarsi in quella che è la consapevolezza. La stessa sfida di cui abbiamo parlato anche per il GDPR e i cookies: aumentare la trasparenza. È chiaro che quando si parla di Intelligenza Artificiale il problema è che io non ti posso dire esattamente come ho scritto il mio algoritmo, altrimenti quello di fianco me lo copia. Bisogna cercare di tutelarne la creazione in sé, intesa come bene e oggetto di tutela perché di proprietà intellettuale altrui, e di trovare il giusto metodo per comunicare le logiche sottese ai vari algoritmi di Intelligenza Artificiale. Questa è sempre una grande sfida della comunicazione.

Alessia: Tra l’altro, sempre sul tema dell’Intelligenza Artificiale, la percezione è che sia la grande novità di questi ultimi anni, quindi qualcosa di totalmente nuovo e innovativo. In realtà, prima ci raccontavi che non è esattamente così. Le radici dell’Intelligenza Artificiale affondano addirittura nel secolo scorso?

Costanza: Assolutamente. L’Intelligenza Artificiale in realtà nasce negli anni ’20 del 1900, quindi dobbiamo andare ormai indietro di un secolo. A quel tempo, per Intelligenza Artificiale si intendevano i programmi che riuscivano ad automatizzare alcuni processi industriali. È chiaro che con l’evoluzione del mondo e l’evoluzione della tecnologia, adesso per Intelligenza Artificiale si fa riferimento a degli algoritmi che consentono, anche tramite la raccolta di dati, di raggiungere una serie di scopi, intesi come produzione di servizi nuovi definiti dal soggetto sviluppatore, quindi dalla società che intende utilizzare questo tipo di algoritmi.

Alessia: Anche qui si apre uno scenario abbastanza complesso davanti a noi, nel senso che forse uno dei nodi cruciali legato all’Intelligenza Artificiale, come dicevi giustamente anche prima, è il tema della proprietà intellettuale. Quindi chi è il proprietario di quello che viene creato attraverso un tool di Intelligenza Artificiale?

Costanza: Questo è un enorme grattacapo che sta interessando i giuristi europei e americani, ma ultimamente anche i cinesi si stanno interessando questa tematica. Quindi è la domanda. L’Intelligenza Artificiale è stata l’argomento nel 2023, ma non so se avrete visto che hanno già detto tutti che sarà l’argomento del 2024, quindi ne sentiremo sempre di più. Ci sono due temi che interessano Intelligenza Artificiale e proprietà intellettuale.
Uno è proprio quello che dici tu, ovvero chi deve essere considerato come l’autore. Facciamo un esempio concreto, ovvero questi sistemi che ti consentono di collegarti e scrivere a un chatbot che, con tutta una serie di indicazioni, ti crea un’immagine digitale. Tu scegli dove dev’essere collocata, con quali colori deve essere sviluppata, chi deve essere protagonista. Poi l’Intelligenza Artificiale ti produce un’immagine. Ma sei tu che dai “l’idea” e l’Intelligenza Artificiale dovrebbe essere una sorta di pennello della nuova era. Tutto può evolvere perché, quantomeno all’interno dell’Unione europea, i giudici non fanno leggi ma danno delle interpretazioni, questa sull’Intelligenza Artificiale in particolare è stata però avvalorata anche dalla Commissione europea, che su questi temi è sempre molto attenta e vigile. Per cui non c’è una risposta univoca, ma bisognerà andare caso per caso per capire se la persona fisica che dà le indicazioni al software di Intelligenza Artificiale abbia effettivamente una sorta di influenza dirimente nella produzione della nuova opera autoriale. Solo in caso affermativo, si potrà riconoscere alla persona fisica di essere il creatore dell’opera. Quello che è importante e che accomuna qualunque sentenza ad oggi emanata in tutto il mondo, quindi non stiamo parlando solo dell’Unione europea, è che sicuramente non potremo dire che l’Intelligenza Artificiale è autore di un’opera, non potremo riconoscergli uno dei diritti più antichi al mondo, ovvero di essere riconosciuto come l’autore di una creazione. Questa distinzione pare abbastanza chiara, netta e affermata nel tempo.
L’altro tema che interessa proprietà intellettuale e Intelligenza Artificiale, è quello che stiamo leggendo sui giornali ultimamente: le intelligenze artificiali – soprattutto quella più nota, ChatGPT – si sono addestrate negli anni scandagliando ogni tipo di contenuto nel web. E noi sappiamo che all’interno del web ci sono alcuni contenuti che sono creati liberamente dagli utenti, altri contenuti che hanno quel carattere di creatività e originalità che è un po’ alla base del riconoscimento del diritto della proprietà intellettuale, ma che o non sono più tutelati perché l’autore è morto da più di 70 o 50 anni (a seconda del Paese a cui facciamo riferimento), oppure perché l’autore non ha mai voluto sfruttare economicamente la propria creazione. Poi ci sono altri contenuti ancora, che invece sono effettivamente tutelati dal diritto d’autore, vengono diffusi tramite Internet, ma non per questo chiunque li può usare liberamente. Ebbene, l’Intelligenza Artificiale ha imparato su tutti questi contenuti, senza fare distinzione. E il caso di questi giorni è quello del New York Times, che si è accorto che quando chiede a ChatGPT qual è stato l’articolo pubblicato dal New York Times cinque anni fa circa su uno specifico evento, ChatGPT ripete esattamente il contenuto dell’articolo. Quindi non è che ha imparato sui suoi contenuti, ma li ha esattamente copiati ed è in grado di riprodurli. E peraltro stiamo pure parlando di contenuti che erano accessibili solo per gli abbonati, quindi non si capisce benissimo come l’Intelligenza Artificiale sia riuscita a leggere questi articoli. Questa è un’enorme domanda. È chiaro che i titolari delle opere autoriali da sempre cercano di proteggersi contro qualunque tipo di illecito utilizzo delle proprie opere e che il web e il mondo digitale hanno aumentato questi pericoli. È molto più facile copiare un contenuto digitale rispetto a copiare una scultura fisica. Questa è un’evidenza di quello che è lo sviluppo tecnologico. Dall’altro lato, se io fossi una compositrice di musica e avessi passato trent’anni della mia vita ad ascoltare la musica di tutta una serie di artisti che mi interessano, è chiaro che la mia produzione sconterebbe un po’ dell’influenza che io posso avere raccolto ascoltando la musica degli altri. Non per questo gli altri autori mi verrebbero a chiedere una co-partecipazione per gli eventuali profitti con la mia opera. Chiaro, un conto è trarre influenza – soprattutto positiva – e un altro conto è il plagio, quindi copiare esattamente quello che è il contenuto di un altro e sfruttarlo liberamente. Anche in questo caso bisognerà vedere, perché anche altri artisti e industrie potrebbero muoversi in questo senso. Per esempio, l’anno scorso l’industria cinematografica ha fatto uno sciopero lunghissimo per cercare di regolamentare fin da subito e per quanto possibile limitare l’utilizzo delle intelligenze artificiali nel cinema.
Sono curiosa di sentire anche la vostra opinione, però posso darvi quella che è l’esperienza in uno studio legale. Anche noi da un anno ci interroghiamo non tanto su come limitare o evitare l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, ma come la possiamo usare per avere un valido supporto. È inutile “lottare” contro un’innovazione che è ormai già quotidianità, quindi bisogna cercare di sfruttarla a proprio vantaggio. Non è una cosa immediata, ma noi, come anche i creativi, ci dobbiamo domandare su come riuscire a conviverci.

Tommaso: Io avevo solo una curiosità sulla musica, che ha anticipato tu. Non so effettivamente se l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale fosse un’applicazione che già si poteva fare o magari eravamo noi a volere questa applicazione della musica.

Costanza: Io in realtà conosco delle piattaforme che creano musica con l’Intelligenza Artificiale e c’è chi le sfrutta, per cui va a utilizzare quelle canzoni perché – in questo momento – non paga il corrispettivo a nessuno e non ha problemi di plagio.
Una riflessione che a me ha sempre molto incuriosito sugli argomenti che abbiamo affrontato un oggi, che è anche un po’ il fil rouge di tutte queste tematiche, è legato all’innovazione tecnologica: nasce prima l’innovazione o l’esigenza della società di utilizzare quella nuova tecnologia? È stato Mark Zuckerberg ad avere l’idea di creare una piattaforma con una bacheca dove tutti noi potessimo condividere dei contenuti, o eravamo noi, la società, ad avere bisogno di diventare un pochino più chiacchieroni nel mondo digitale? Lui ha avuto l’idea geniale o era già nell’aria che di quella cosa ne avevamo bisogno? E questa domanda ce la dobbiamo fare in tutti i contesti delle nuove tecnologie, quindi anche in quello dell’Intelligenza Artificiale che, ripeto, non è così nuova perché risale ormai al secolo scorso. Ma è chiaro che si sia evoluta nel tempo: bisogna capire se si sia evoluta perché c’era già un’esigenza concreta della società o perché siamo noi che stiamo costantemente rincorrendo la tecnologia.

Alessia: Chiudiamo con la nostra domanda?

Tommaso: I nostri ospiti non si alzano da quella sedia prima di aver risposto a questa domanda. Dicci una cosa al volo. Può essere la qualsiasi, inerente a oggi, a tue esperienze precedenti, semplicemente una cosa al volo.

Costanza: Quindi professionale?

Alessia: Quello che vuoi.

Costanza: Cosa posso dire? Vabbè, Alessia mi conosce, quindi sa che se non penso alla privacy e al mio lavoro quotidiano, ho in testa una cosa che è una pallina gialla che si usa per giocare con una racchetta. E quindi quello che posso dire che è non vedo l’ora dell’inizio degli Australian Open, che inizieranno molto a breve e che stravolgono completamente la mia agenda giornaliera. Devi sapere che durante gli Australian Open io mi alzo alle sei e mezza del mattino e mi metto a guardare una partita di tennis mentre faccio vagamente ginnastica davanti al computer. Poi alle otto spengo, mi faccio la doccia e vado in ufficio.

Alessia: Grazie mille.

Costanza: Prego, grazie a voi!

Alessia: Grazie dell’ascolto. Se l’episodio ti è piaciuto o se vuoi suggerirci nuovi temi da trattare, scrivici a [email protected]. Se invece vuoi riascoltare gli episodi della prima stagione ci trovi su tutte le principali piattaforme podcast. Una Cosa Al Volo è una produzione TEAM LEWIS e ti aspettiamo per il prossimo episodio.

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