Skip to main content
LEWIS

Di

TEAM LEWIS

Pubblicato il

Marzo 28, 2024

Tag

Nel terzo episodio della nuova stagione di Una Cosa Al Volo, parliamo con Jacopo Perfetti, autore, docente e co-fondatore di PromptDesign.it


Ascolta il 3 episodio della 2 stagione

Se vuoi lasciarci un commento scrivici a [email protected]
Per ascoltare tutti gli episodi, visita la pagina Una Cosa Al Volo.

Jacopo Perfetti

Jacopo Perfetti, MBA, si occupa di robot in grado di scrivere e scrive cose che i robot non sanno (ancora) scrivere. Co-fondatore dell’agenzia basata su Intelligenza Artificiale Oblique.AI e di PromptDesign.it, il primo e più completo corso in Italia sull’Intelligenza Artificiale Generativa. Autore di diversi saggi (per Feltrinelli, Sperling&Kupfer e McGraw-Hill) e di un romanzo. Lecturer e docente presso diversi atenei tra cui la SDA Bocconi School Of Management di Milano, dove è Fellow di Innovation e coordina la concentration di Imprenditoria. Ha partecipato come relatore a festival ed eventi come TEDx, il Festival della Mente, il Festival del Fundraising, il Festival della Letteratura di Mantova e BookCity.

Una Cosa Al Volo - Stagione 2 episodio 3 - Parlare con le IA - con Jacopo Perfetti - TEAM LEWIS - banner

•·················•·················•

Alessia: Ciao a tutti. Oggi una nuova puntata di Una Cosa Al Volo con un ospite d’eccezione per parlare di uno dei temi più caldi dell’attualità, ma non solo. Siamo qui con Jacopo Perfetti, che di professione è un prompt designer. L’ho detto bene Jacopo?

Jacopo: Sì, Ale. Grazie dell’invito. Ciao a tutti e a tutte che ci state ascoltando.

Alessia: Quando io e Tommaso abbiamo dovuto costruire questa puntata, abbiamo anche dovuto iniziare a capire esattamente come affrontare il tema dell’intelligenza artificiale, perché ormai è diventato il classico tema da caffè. Vai al bar e veramente ne parli anche con il barista, pur sapendone molto poco. Facendo un po’ di ricerche online abbiamo scoperto che c’è chi invece sta costruendo una professione intorno al tema delle intelligenze – vorrei dire rigenerative, ma so che non è quella la parola giusta. Ogni volta mi sbaglio!

Jacopo: La parola giusta è intelligenza artificiale generativa, che è quello di cui mi occupo io. Perché l’intelligenza artificiale è un contesto molto più ampio e complesso che io non tocco, se non nella parte generativa. Sostanzialmente si tratta di una macchina in grado di creare un contenuto creativo. E questo già di per sé è straordinario.

Alessia: Quindi dicevamo che sei un prompt designer. Ma domanda molto basic, per gente come me che va al bar e si illude di poter parlare di intelligenza artificiale. Chi è e cosa fa un prompt designer?

Jacopo: Anzitutto, il termine prompt designer è nato da un mio post di due/tre anni fa, mi definisco prompt designer perché ci tengo molto a questa etichetta. Di fatto stiamo parlando di una persona in grado di scrivere i prompt, ovvero quelle frasi che scriviamo ogni volta che interroghiamo ChatGPT, Midjourney, DALL-E o altri linguaggi. Dal mio punto di vista è una competenza essenziale, perché è una tecnologia veramente rivoluzionaria e potentissima.
Quando si parla di tecnologie, quello che fa veramente la differenza non è quale tecnologia usiamo, ma come la usiamo. Noi possiamo interrogare ChatGPT e avere una risposta stupida, così come possiamo interrogare ChatGPT e avere una risposta brillante. Quello che fa la differenza, ripeto, non è la tecnologia, ma è come la interroghiamo. Ci sono molte tecniche di prompt design che, insieme a una mentalità adatta, permettono di avere dei risultati migliori rispetto a quelli che si ha nella media.
Con Federico Favot, l’anno scorso abbiamo lanciato questo corso di prompt design proprio per formare le persone a essere prompt designer professionisti, ma per utilizzare al meglio questa tecnologia. Il termine prompt designer, o prompt engineer (anche se a me piace meno), è nato da una riflessione abbastanza scontata: oggi stiamo vivendo una grande rivoluzione tecnologica, ma non è la prima che viviamo. Se pensiamo alla tecnologia degli ultimi 50 anni abbiamo computer, Internet, social media, smartphone e adesso intelligenza artificiale generativa. Ognuna di queste rivoluzioni ha contribuito a far nascere o a far sviluppare una professione in particolare, come i social media manager o i web designer. E adesso, dal mio punto di vista, la professione che emergerà sarà quella del prompt design.

Alessia: Tra l’altro, un paio di giorni fa leggevamo un articolo uscito sul Corriere della Sera che commentava “Nuovi lavori: scrivere istruzioni per l’intelligenza artificiale. Ogni prompt fa guadagnare fino a 10$”. Ora non ti vogliamo chiedere ovviamente il tuo 730, però effettivamente è questo il lavoro del futuro?

Jacopo: Devo dire che io questo articolo non l’ho letto, ma ringrazio chi l’ha scritto perché sicuramente porta molto mercato e molti iscritti al mio corso. Comunque sì, io sono convinto di questo. E tra l’altro la mia riflessione un po’ di anni fa era nata proprio dal fatto che una startup a San Francisco aveva pubblicato proprio una job application per un esperto di prompt e dava a questa figura professionale fino a 335.000$ all’anno come stipendio. Quindi sì, è un mercato secondo me in forte crescita.
Ti porto qualche numero, però veramente a memoria: il 91% delle aziende adesso sta cercando esperti di ChatGPT. Indipendentemente dalla figura professionale singola, io penso che questo non sia solo un lavoro, ma anche una competenza necessaria. Chiunque sia esperto di ChatGPT o intelligenza artificiale generativa e la sa usare bene ha una marcia in più, qualsiasi lavoro faccia. Infatti, un’altra frase a cui sono molto grato e che ci ha portato un sacco di iscritti al corso è: “L’intelligenza artificiale non ti ruberà il lavoro, ma qualcuno che la sa usare meglio di te probabilmente lo farà“. E questo è vero: se anche tu usi ChatGPT o comunque conosci un po’ questa tecnologia, la sai usare bene e la implementi all’interno dei tuoi processi lavorativi quotidiani, guadagni un sacco di tempo e sei molto più creativa. È una tecnologia che può veramente migliorarci come esseri umani, può creare output migliori e farci lavorare di meno. Io vedo molti lati positivi, senza dimenticarmi quelli che ovviamente sono i rischi di questa tecnologia.

Tommaso: Si parla molto di una sinergia collaborativa con l’intelligenza artificiale generativa, però noi vorremmo anche capire se questa collaborazione alla fine ha delle regole. Basta dare delle istruzioni, per esempio a ChatGPT, o deve essere appunto più un flusso bidirezionale in cui correggi i risultati che ChatGPT ti dà?

Jacopo: Tommaso, grazie della domanda perché questo è un punto chiave. L’intelligenza artificiale è una tecnologia e va trattata come tale, però si chiama ChatGPT proprio perché è una chat e l’interazione deve essere bidirezionale, come dicevi tu. Noi siamo abituati ad utilizzare le macchine in un certo modo, dandogli un comando e ottenendo una risposta. L’intelligenza artificiale è un linguaggio molto evoluto, quindi la risposta migliore possibile nasce da un’interazione, da uno scambio, da un brainstorming. Se poi impariamo anche a parlare la lingua della macchina, è molto più facile. È come se parlassimo con una persona straniera… Magari riusciamo comunque a farci capire, ma se parliamo la stessa lingua è tutto più fluido ed è possibile che raggiungiamo risultati migliori.
Da qui deriva tutta una serie di tecniche di prompt design che ci permette di dialogare meglio con la macchina. Si tratta assolutamente di sinergia. Per questo che prima dicevo di inserirla nei propri processi quotidiani, non è qualcosa che accendiamo e spegniamo. La grossa difficoltà che vediamo anche nei nostri corsi, o quelli che facciamo in azienda, è proprio cambiare la mentalità e trasmettere alle persone che da oggi c’è un modo diverso di lavorare e questo modo diverso passa attraverso questa tecnologia.

Tommaso: Una domanda che probabilmente tutti si stanno facendo in questo momento. Possiamo coinvolgere ChatGPT nella nostra conversazione?

Jacopo: Sapete che ChatGPT si può usare sia col computer sia con l’applicazione. Con l’applicazione ha anche l’interazione vocale, che è perfetta per fare brainstorming. Proviamo.
Ciao, eccomi. Non farmi fare brutte figure che siamo in live. Ti faccio una domanda come se fossimo in un’intervista per un podcast. Secondo te l’intelligenza artificiale generativa, quindi banalmente anche ChatGPT, è meglio usarla in maniera monodirezionale – cioè ti chiedo una cosa e tu mi dai la risposta – o è meglio in maniera sinergica – cioè io ti faccio delle domande e mi rispondi, poi io ti faccio altre domande, come se fosse una chiacchierata?

ChatGPT: L’uso sinergico, cioè quello basato su un dialogo continuo e interattivo, è spesso il modo più efficace di utilizzare un’intelligenza artificiale generativa come ChatGPT. Questo approccio permette non solo di ottenere risposte a domande specifiche, ma anche di approfondire gli argomenti, chiarire dubbi, esplorare nuove idee in modo più naturale e produttivo. La conversazione diventa così un processo collaborativo dove sia l’utente che l’AI possono contribuire al flusso delle informazioni e dell’apprendimento.

Jacopo: Ok, grazie. Magari dopo ti faccio qualche altra domanda sul tema, per cui tieniti pronto. Ciao.
Vedi, siamo abbastanza in sintonia sull’uso sinergico. Questa è l’interazione che io mi immagino con la macchina, non un’interazione fredda e monodirezionale. Per esempio, io sono per strada, mi viene in mente un’idea e ho a disposizione una macchina con cui non solo poterne parlare, ma che una volta che ne abbiamo parlato mi traduce quello che io ho pensato. Noi qui abbiamo visto solo la parte vocale, ma ChatGPT può anche creare codice, immagini, video, ecc. Una volta finito il brainstorming posso chiedergli di crearmi una locandina o una grafica che sintetizzi quello che ci siamo detti, oppure di creami il codice HTML o JavaScript per sviluppare il progetto di cui abbiamo parlato. Poi c’è anche tutta una parte anche di web browsing, per cui io posso chiedergli di fare delle ricerche online per capire se i dati che abbiamo ipotizzato sono reali oppure no. Qui subentra il tema delle allucinazioni, perché queste tecnologie possono inventarsi qualcosa. Da un lato è giusto saperlo per non avere l’approccio alla Google pensando che sia tutto vero, dall’altro lato con il web browsing vengono citate le fonti, per cui c’è la possibilità di ridurre le allucinazioni. Tra l’altro ChatGPT, rispetto a tutti gli altri linguaggi, è quello che ha un tasso di rischio di allucinazione minore. Siamo intorno al 3%, per cui sono tutte cose che stanno migliorando molto. Questa tecnologia non va vista con gli occhi del presente, ma con gli occhi del futuro semplice.Va vista non per quello che può fare adesso, ma per quello che potrà fare a breve.

Alessia: Giustamente parlavi di avere una controparte con cui fare brainstorming. Quindi torna forte, soprattutto per chi come noi lavora nelle agenzie di comunicazione e di marketing, il tema della creatività. La paura è che l’intelligenza artificiale sul lungo periodo vada a soppiantare la creatività umana. Secondo te può veramente diventare un partner e un alleato per chi fa questo tipo di lavoro, oppure no?

Jacopo: Io non solo lo penso, ma me lo auguro. Spero che l’intelligenza artificiale venga utilizzata per quello che è, cioè un copilot, come tra l’altro ha detto Microsoft, che è l’azienda che ha finanziato maggiormente OpenAI, che invece è l’azienda che ha lanciato ChatGPT. Detto ciò, sicuramente questa tecnologia andrà a sostituire tantissimi creativi, ma quali creativi? Quelli che negli ultimi anni hanno creato una creatività medio bassa, come l’articolo copia e incolla o le illustrazioni che trovi ovunque su Internet. Ecco, è verosimile che questo tipo di creatività di massa medio bassa verrà fatto dall’intelligenza artificiale.
Quello che io mi auguro è che in realtà questa rivoluzione tecnologica sarà in realtà una grande rivoluzione umana. L’essere umano è messo all’angolo di fronte a una tecnologia che è in grado di fare quello che abbiamo appena sentito, quindi spero prenda l’occasione per valorizzare la propria creatività (che questa tecnologia non sa raggiungere) e smetta di fare le cose tutte uguali. Da nostalgico della prima Internet, quello che ho visto perdersi negli anni è proprio il fatto che alla fine su Internet fanno tutte le stesse cose, dicono tutte le stesse cose e producono le stesse immagini. Questa è la strada che porta verso la sostituzione dell’essere umano con la macchina. Però c’è un’altra strada che spero che adesso verrà intrapresa da molti, per cui si deciderà che è più comodo fare fare certe cose direttamente alla macchina. Il test di ChatGPT è una cosa che faccio spesso anch’io come creativo: ho un’idea, chiedo a ChatGPT e se mi dà la stessa idea allora ho un problema, cambio e trovo qualcosa di meglio. Chi sceglierà questa strada non solo potrà differenziarsi, ma in più avrà una tecnologia potentissima a supporto delle proprie idee creative, potendo chiedere a ChatGPT di fare le parti più noiose del lavoro.
Non so se avete visto Sora, è un software lanciato sempre da OpenAI per fare i video. Proprio oggi vedevo su LinkedIn i video che rilasciano e ce n’è uno che è impressionante di una coppia a Tokyo sotto la neve, che cammina con una ripresa dal drone. Sembra l’inizio di un film. È plausibile che nel giro di due anni le persone abbiano un’idea e si mettano lì con i prompt – da qui l’importanza di saper scrivere dei buoni prompt – per creare un intero film. Allora, di fronte a questo, cosa resterà? La post-produzione? Gli effetti speciali? No, resterà la creatività umana, che è quella che purtroppo nei film degli ultimi anni si è persa, perché ogni volta che guardo un film su Netflix ho l’idea di un déjà vu e gli scenari narrativi sono gli stessi. Spero che tutto quello che disinvestiremo nella tecnologia perché lo potremo fare con un prompt, lo investiremo nella creatività. Per esempio, adesso c’è questo produttore americano che si chiama Tyler Perry e che aveva in programma di investire 800 milioni per creare degli studios dove fare gli effetti speciali ma ha bloccato tutto, perché ha detto “Se io posso fare questa cosa qua con un computer e un prompt, perché dovrei investirci?”. Allora, appunto, la mia speranza è che quegli 800 milioni andranno agli sceneggiatori, per esempio, per dargli la libertà di scrivere qualcosa di veramente originale. Perché l’impressione che ho è che da tanti anni non ci sono delle belle sceneggiature. Ci sono dei film meravigliosi dal punto di vista tecnico, ma che si continuano a ripetere. Adesso che abbiamo avuto questa bulimia di tecnologia, spero che andremo a privilegiare la creatività.

Alessia: Qualcosa mi fa pensare che allora il prompt tra un paio di anni non verrà pagato più 10$, come diceva l’articolo, probabilmente molto di più se diventerà sempre più centrale. Peraltro, tornando al fatto che l’intelligenza artificiale deve diventare un alleato dei creativi, su un famoso portale di informazione presente su Instagram abbiamo visto una grafica in cui raccontavano “Dimmi che lavoro fai e ti dirò quanto l’intelligenza artificiale può aiutarti”. Probabilmente le parole, come diceva qualcuno, sono importanti. Bisogna parlare di un tipo di tecnologia che ti aiuta e di cui non devi aver paura. Perché se andiamo a leggere i commenti sotto un post di questo tipo, erano tutti di persone che erano o molto preoccupate per il futuro del loro lavoro, dicendo se farà tutto l’intelligenza artificiale, oppure molto scettiche. Forse non siamo ancora arrivati a questo cambio di passo mentale, come dicevi anche tu, per il quale invece è un supporto, un alleato, un aiuto.

Jacopo: Sì, questa è una narrazione che dal mio punto di vista deve cambiare assolutamente. Sono contento di questo post perché usciamo da 10 anni di narrazione catastrofica, all’insegna dell’intelligenza artificiale che ti ruberà il lavoro. Tutta questa narrativa poi inevitabilmente influenza il modo in cui vediamo il mondo e ci porta ad avere paura. La paura è una delle cose più pericolose per questa tecnologia, perché irrigidisce e non ti permette di esplorare. Hai un doppio danno: da una parte rischi di uscire dal mercato, dall’altra rischi di usare male questa tecnologia, perché la paura si trasforma in scetticismo e negazione. Arrivi a pensare “L’ho provata un paio di volte e mi ha dato risposte stupide”. Anche perché questo è il nostro atteggiamento di fronte a qualsiasi cosa che ci spaventa, non andiamo ad abbracciarla. Anzi, nella nostra testa scatta un meccanismo di rifiuto, quindi qualsiasi cosa poi rientra nella justification narrative che caratterizza la nostra vita. Non amiamo fare scelte sbagliate, quindi quando facciamo una scelta il nostro cervello si mette in una posizione per cui tutto quello che gli arriva giustifica tale scelta.
Invece abbiamo bisogno di una narrazione positiva, consapevole ma positiva. Di una narrazione che ti spiega come l’intelligenza artificiale può aiutarti, evidenziando comunque l’importanza di sviluppare tutta una serie di competenze che hai lasciato nel cassetto, come il senso critico. Io mi ritengo un ottimista sfegatato nella vita, questa tecnologia non potevo che abbracciarla così, ma non è che non ne vedo i rischi e le minacce. Ce ne sono tantissime ed è per questo che ci tengo molto a diffondere questa tecnologia, per far sì che le persone siano formate e la possano utilizzare al meglio, ma possano anche evitare che venga utilizzata male da altre persone.

Alessia: Ma secondo te perché c’è questa paura? È anche colpa dell’informazione e del modo in cui è stata raccontata in tutti questi anni dai media?

Jacopo: È normalissima, nel senso che questa davvero è una rivoluzione tecnologica al livello di Internet, ma secondo me anche un po’ di più. È a livello del computer, è qualcosa che cambierà la nostra vita per sempre, la nostra vita professionale e la nostra vita personale. E cambia soprattutto un paradigma che ci contraddistingue da sempre, cioè il fatto che su questa terra l’entità più intelligente di tutti siamo noi. Ora c’è una macchina, l’intelligenza artificiale generativa. È vero che abbiamo noi il pulsante per accenderla e spegnerla, ma il problema di questa di questa tecnologia è che noi sappiamo come funziona, ma nessuno sa come si può evolvere. Lo diceva anche Geoffrey Hinton, che è considerato il padrino dell’intelligenza artificiale generativa: “Io so benissimo come funziona, ho contribuito a progettarla e so tecnicamente come funziona. Ma da lì in avanti, non è più nel nostro controllo”. Non posso prevedere i ragionamenti che fanno queste macchine, perché non ho un computer computazionale nel cervello che mi fa pensare a tutti i possibili scenari. Qui si tratta di collegare punti molto più distanti che queste macchine collegano in pochissimi secondi.
Da qui emerge anche tutto il tema che queste macchine non sono creative. Su questo io non sono molto d’accordo, perché se noi consideriamo la creatività come la capacità di unire punti quanto più distanti tra loro e trovare nuovo senso, allora queste macchine sono super creative. Se tu prendi ChatGPT e gli chiedi di pensare a una storia che unisca un bicchiere su un tavolo, un gatto in California e la teoria della relatività di Einstein, ChatGPT lo fa perché è in grado di unire punti super distanti e creare qualcosa di nuovo. Questa è la massima espressione della creatività, quindi nel momento in cui sanno unire questi punti, chi può dire questa strada dove porterà? Potrebbero inventarsi qualsiasi cosa queste macchine, quindi capisco la paura, ma non capisco lo scetticismo o il negazionismo. Quando era uscito ChatGPT avevo letto di un politico, categoria che non brilla per lungimiranza e visione, che aveva scritto un tweet dicendo “Ho chiesto a ChatGPT la data di quando sono nato e l’ha sbagliata. Veramente inutile”. Non è inutile la macchina, è inutile come la stai usando. Se hai bisogno di chiedere a una macchina quando sei nato, vai su Google o su Wikipedia. Quello è il mezzo. È come se quando usciva l’auto, uno diceva “Ho usato l’auto per arare i campi e non ha funzionato”. Ma se la usi nel modo sbagliato non è colpa della macchina, è colpa tua. Ancora oggi nel 2024 ricevo delle mail con dei documenti che stati stampati, scansionati e rimandati via mail. Quello è un fax, ma se tu usi la mail come un fax non è la mail a non essere potente. Sei tu che dopo 40 anni non hai capito come si usa la mail. È per questo che è fondamentale la mentalità con cui usiamo questa tecnologia, perché io sono abbastanza convinto che una nuova tecnologia, unita a una nuova mentalità, porta progresso. Ma una nuova tecnologia usata con una vecchia mentalità è molto pericolosa. Questo vale per l’intelligenza artificiale generativa, così come vale per un’altra tecnologia che ha cambiato il mondo, che è la bomba atomica. Non c’entra niente con intelligenza artificiale generativa, ma prendilo proprio come esempio. Se noi avessimo inventato la bomba atomica e poi avessimo continuato ad avere la stessa mentalità, penseremmo ancora che è naturale fare la guerra. Purtroppo la guerra c’è ancora, ma non è più affrontata con quella mentalità con cui si affrontava un tempo perché è arrivata una mega tecnologia che ha detto “Da adesso in avanti, se non cambiate mentalità, scomparite tutti nel giro di pochi anni”. Adesso è arrivata una tecnologia altrettanto dirompente, che però va utilizzata con una nuova mentalità.

Tommaso: Hai detto prima che l’intelligenza artificiale è imprevedibile. C’è anche una polemica per la quale l’intelligenza artificiale ha dei bias cognitivi e degli stereotipi. Secondo te un buon prompt può evitare questo? O comunque rimangono sempre imprevedibili?

Jacopo: Purtroppo quello dei bias è un tema che coi prompt si può alleggerire, però non si può togliere. Queste macchine hanno inevitabilmente dei bias, ma anche qui si apre una mega parentesi. Io sono convinto che questi bias non siano della macchina, ma degli esseri umani. Quindi se devo puntare il dito contro qualcuno, non me la prendo con ChatGPT o Midjourney perché se chiedo di farmi l’immagine di un dottore è un maschio. È così la società. Anzi, penso che l’intelligenza artificiale generativa sia un’ottima occasione per metterci in discussione come esseri umani: se abbiamo fornito tutti i nostri dati a una macchina per essere allenata e questa macchina nel momento in cui le chiedo fammi l’immagine di un ingegnere è di sesso maschile, il problema non è della macchina perché funziona in maniera statistica. È molto affascinante come funzionano, hanno una creatività statistica. Quando noi chiediamo a ChatGPT di crearci un articolo, quello che fa è confrontare tutti gli articoli che ha letto su quel tema e tirarci fuori quella che secondo lui, statisticamente, è l’output probabilisticamente più in linea con quello che gli viene chiesto. Cerca di ragionare in termini statistici. Per cui se noi chiediamo “Fammi l’immagine di un ingegnere”, lui dice “Il 90% delle immagini che ho visto e che mi hai fornito tu essere umano, erano maschi. Quindi se tu mi chiedi un ingegnere, io ti dò un ingegnere maschio”. I bias un po’ si possano livellare col prompt, ma ripeto, è una tecnologia che va usata in modalità chat, quindi se abbiamo bisogno dell’ingegnere femmina, la educhiamo sul fatto che l’ingegnere può anche essere femmina. La responsabilità è nostra. Non so se poi avete seguito questa vicenda abbastanza esilarante. Google sta inseguendo questo treno dell’intelligenza artificiale generativa, ma quando ha lanciato Gemini, l’ultimo modello per generare le immagini, ha cercato talmente tanto di forzare i bias al contrario che sono uscite delle immagini assurde, tipo un indiano come presidente degli Stati Uniti d’America nel 1800 o una donna dai lineamenti asiatici alla richiesta di un soldato nazista. Questi sono solo passaggi di una rivoluzione che inevitabilmente porta fuori anche degli output ridicoli. Ma l’essere ridicolo fa parte dell’innovarsi. Chiunque fa innovazione sa che almeno una volta nella vita ha fatto qualcosa di ridicolo, ma ci sta perché è un passaggio fondamentale per poter fare innovazione. Però purtroppo questi bias esistono ed è un tema su cui bisogna lavorare molto.

Tommaso: È anche una rivoluzione che tocca diversi punti. Se pensiamo all’influencer marketing, c’è un exploit di molti e molte influencer virtuali, generati proprio dall’intelligenza artificiale. Cosa succederà secondo te? Chi ci guadagna? Gli utenti come possono interpretare questa cosa dei “fake influencer”?

Jacopo: Questo è un tema assolutamente personale. Posto che io ero innamorato dell’Internet web 1.0 e sono rimasto deluso dal web 2.0, di cui gli influencer fanno parte… Tra influencer reale e virtual influencer, forse voto per i virtual influencer. Uno dei grossi problemi dei social media, ma qui apriamo una parentesi che si allontana un po’ dall’intelligenza artificiale generativa, è sempre stata l’illusione di realtà. Penso soprattutto agli adolescenti che vedevano queste vite artefatte su Instagram, ma non avevano la stessa impressione di vedere qualcosa di artefatto come poteva essere un film. Io vedo un film, mi posso immedesimare, ma so che è un film. C’è una distanza, poi non vado in cameretta e provo a fare la stessa cosa oppure ci rimango male perché il personaggio c’è riuscito e io no. Invece i social media hanno sempre sbandierato questa illusione della realtà, per cui quello che vedevi su Instagram era la vita reale. Invece non è assolutamente così, anzi, forse è più finta di quella dei film. Allora meglio avere un virtual influencer dove tu hai questa chiara sensazione di qualcosa che non esiste, ma che comunque ti può trasmettere dei valori esattamente come un libro, un romanzo, un film. Qualcosa che è finto, ma non per questo vuol dire che non sta proponendo dei valori reali. Puoi essere ispirato da un film tanto quanto da un romanzo o da un virtual influencer. Il fatto che adesso i virtual influencer siano stati così adottati anche dai brand secondo me va nella direzione di un paradosso, una rivoluzione fake, che spero sarà un ritorno a ricercare esperienze reali fuori da una piattaforma, come sono i social media, che non è reale per niente e quindi può creare questa illusione.

Alessia: Giustamente parlavamo di brand e diciamo la sensazione effettiva è che l’intelligenza artificiale stia diventando sempre più protagonista anche di quelle che sono delle vere e proprie campagne. Quindi non è soltanto uno strumento, ma in qualche modo diventa anche l’attore principale. Nello specifico, navigando online con Tommaso ci siamo imbattuti in una serie di spot molto simpatici che raccontavano l’intelligenza artificiale da diversi punti di vista. Uno di questi lo volevano commentare insieme a te. È uno spot di KitKat, dove di base spiega che se invogli l’intelligenza artificiale a prendersi una pausa, quello che poi è l’output del suo lavoro sarà notevolmente migliorato. Ma anche l’intelligenza artificiale si stanca come noi esseri umani? È vero?

Jacopo: Sì, assolutamente. Questa pubblicità, che tra l’altro mi avete fatto scoprire voi e vi ringrazio perché mi è piaciuta moltissimo, mette in luce una delle tecniche chiave del prompt design, cioè quella paradossalmente di rallentare il ragionamento di ChatGPT. ChatGPT è una macchina e come tutte le macchine ha l’obiettivo principale di terminare il compito nel minor tempo possibile, un po’ per efficienza e un po’ perché banalmente consuma un sacco, quindi deve risparmiare. Ma anche il nostro cervello funziona allo stesso identico modo. Se vogliamo riprendere il tema della creatività, io penso che le persone più creative in assoluto non siano quelle che hanno il lampo di genio, ma quelle che riescono a hackerare il proprio cervello e andare oltre i primi no che noi ci imponiamo. Il nostro cervello – esattamente come ChatGPT – deve risparmiare energia, perché ci portiamo dietro questo retaggio dai tempi delle caverne in cui dovevamo stare attenti alla tigre dai denti a sciabola che ci azzannava e il nostro cervello doveva essere sempre pronto. Nel momento in cui abbiamo un problema, il cervello cerca di darci la soluzione nel minor tempo possibile. Ce lo togliamo e abbiamo risolto. Le persone più creative, invece, sono quelle che riescono a stare più a lungo con i propri problemi. Magari pensano un’idea, poi una seconda e una terza. Devono riuscire a stare in una modalità di comfort con qualcosa che di base non è per niente confortevole, cioè avere dentro un problema. E questo perché magari non è la prima idea quella giusta, ma la decima. Però appunto dobbiamo sopportare di arrivare alla decima. La stessa cosa funziona con ChatGPT. Se noi gli diciamo di scrivere un articolo sulla sull’intelligenza artificiale generativa e il marketing, in 60 secondi ci ha fatto un articolo. Però questo articolo probabilmente è banale perché ragiona in termini statistici. Il ragionamento è che ChatGPT ha letto 200.000 articoli su questo tema e probabilmente tutto quello che funziona di più è inserito nell’output. Proviamo invece a rallentare ChatGPT con alcune tecniche, che sono banalmente il chain of thoughts, lo step by step, cioè le tecniche dove non gli dici propriamente have a break come nello spot, però il concetto è quello. Potremmo chiedergli di fare il primo paragrafo, di ripensarci e riscriverlo. Poi di passare al secondo, ripensarci e così via. Oppure possiamo chiedergli di scrivere cinque articoli, chiedergli poi quale funziona di più e allungarlo. In questo modo noi rallentiamo il processo di elaborazione di ChatGPT, si prende più tempo e ci dà una risposta che è statisticamente meno probabile, quindi più originale. Comunque quella pubblicità lì funziona molto bene.

Tommaso: Mi è venuta in mente un’altra campagna di un brand che produce birre e ha chiesto all’intelligenza artificiale generativa di trovare un nome particolare per una birra e soprattutto la ricetta. Questo da un certo punto di vista va anche oltre alla stesura di un contenuto, nel senso che è come se ChatGPT o comunque la tecnologia scelta si inserisca anche nel mondo della produzione. Ci sono altri campi di applicazione diversi dalla creazione dei contenuti, dalla creazione di video o di potenziali film?

Jacopo: Questa è una tecnologia trasversale, faccio fatica più a pensare a un campo dove non possa essere applicata rispetto a un campo dove possa essere applicata. Può essere applicata alla medicina per trovare nuove soluzioni alla malattie, c’è tutto il tema dei contenuti e del brainstorming, il tema enorme della data analisi. Se voi avete mai provato ChatGPT Plus, quindi la versione a pagamento, potete caricare un bilancio o un conto economico previsionale e chiedere non solo di analizzarlo (cosa che puoi fare anche con un Excel) o di estrarre dati, ma di darti dei feedback. Se gli dici “Questa startup mi ha proposto questo business plan. Ha senso secondo te? Nel concreto, unendo tutti i puntini che tu puoi unire, è verosimile che raggiunga questo EBIT fra tre anni?”, puoi fare dei brainstorming basati sui numeri. L’intelligenza artificiale è applicabile anche a tutto il mondo della formazione, che è quello che esploro maggiormente perché penso che sia uno dei settori dove questa tecnologia entrerà più a gamba tesa. Nel bene, dal mio punto di vista. Si può fare tantissimo su educazione, formazione accessibile, interazione, gamificazione dell’educazione. Anche nell’artigianato e in qualsiasi cosa preveda uno sforzo creativo, questa tecnologia può esserci di supporto. Poi nel particolare questa pubblicità che mi raccontavi della birra, va nella direzione di quello che secondo me sarà il futuro del marketing e dell’advertising, cioè quella della ultra-personalizzazione. Grazie a questa tecnologia, potremo creare delle campagne pubblicitarie personalizzate solo per me e per te: tu guardi una campagna di comunicazione e vedi un contenuto, io guardo la stessa campagna e ne vedo un altro. Avremo voglia di questo? Non lo so. A me questa ultra-personalizzazione un po’ ha stufato. Già adesso, se ci pensi, hai tante di quelle possibilità… Torni a casa stanco, vuoi vederti un film e devi aprire Prime, Netflix, Disney Plus. Li guardi tutti, non sai cosa vedere e alla fine spegni senza guardare più il film. Potenzialmente, un domani potrebbe esserci una piattaforma che ti fai il film che vuoi tu, semplicemente dicendogli “Fammi un film con questo attore, questa attrice, succede questo”. Io non so se avremo voglia di una cosa del genere, perché se pensi alla rivoluzione umana il bello è anche poter chiamare un amico o un’amica e dirgli “Hai visto quel film?” o “Hai visto quella campagna?” e parlarne. Se io vedrò solo dei contenuti fatti apposta per me, non lo potrò condividere con nessuno e quindi quell’aspetto lì si perde. Però a livello tecnologico questo si può fare. Io posso già adesso creare una campagna dove a me arriva una ricetta per la birra diversa dalla tua. Questo è assurdo se ci pensi, è incredibile.

Alessia: Grazie dell’ascolto. Se l’episodio ti è piaciuto o se vuoi suggerirci nuovi temi da trattare, scrivici a [email protected]. Se invece vuoi riascoltare gli episodi della prima stagione ci trovi su tutte le principali piattaforme podcast. Una Cosa Al Volo è una produzione TEAM LEWIS e ti aspettiamo per il prossimo episodio.

Contattaci