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LEWIS

Di

TEAM LEWIS

Pubblicato il

Novembre 18, 2022

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Nel quarto episodio di Una Cosa Al Volo, abbiamo parlato con Bianca Arrighini e Livia Viganò, co-founder di Factanza, la media company che sta rivoluzionando il mondo dell'informazione sui social.


Ascolta l’episodio 3

Bianca Arrighini e Livia Viganò

Bianca Arrighini e Livia Viganò, classe ’97, durante gli studi universitari nel campo dell’economia hanno co-fondato la media company Factanza, di cui sono rispettivamente CEO e COO. Factanza nasce per rivoluzionare il mondo dell’informazione, adattandolo al modo di comunicare delle nuove generazioni. Si occupa di divulgare tutti i giorni sui propri canali social (prevalentemente su Instagram e TikTok) le informazioni fondamentali per essere aggiornati sull’attualità in pochi minuti, con formati creati per catturare l’attenzione e avvicinare i giovani al mondo dell’informazione.

Bianca Arrighini e Livia Viganò, ospiti del podcast Una Cosa Al Volo

 

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Alessia: Come sta cambiando il mondo dell’informazione e come i giovani si stanno rivolgendo sempre più a nuove media company che stanno cercando di innovare il linguaggio dei media e dell’informazione. Ne parliamo oggi con Livia Viganò e Bianca Arrighini, founder di Factanza. Ciao ragazze.

Livia e Bianca: Ciao a tutti.

Alessia: Allora ragazze, primissima domanda per spezzare il ghiaccio. Appunto, founder di Factanza, bellissima realtà nata ormai da un paio di anni e che vede come core un nuovo modo di fare informazione sui social media, in particolar modo su Instagram. Come è nata l’idea e perché soprattutto avete voluto dar vita a un progetto di questo tipo?

Bianca: Allora l’idea è nata quando eravamo al terzo anno di università. Io e Livia e ci siamo conosciute al primo anno e siamo diventate molto amiche. Stavamo studiando economia, quindi non c’entra niente con quello che poi abbiamo fatto, e sentivamo noi in primis che non c’erano media che parlassero alle nuove generazioni. Quindi noi molto curiose, voglia di informarci, aprivamo testate tradizionali e vedevamo articoli lunghi, che davano per scontato un sacco di cose e non erano sui nostri canali.

Era il 2019, quindi l’informazione su Instagram non era ancora cosa. Instagram era ancora un social fighetto dove mettere le foto del piatto o delle vacanze e abbiamo detto “ok, facciamolo noi. Facciamo informazione dove passiamo dieci ore al giorno e facciamolo in un modo che sia molto accessibile”. All’epoca i nostri amici ci dicevano “ma chi le legge le informazioni su Instagram”, poi con il Covid in realtà è esploso un po’ il trend di informazione 3.0 perché c’è stato un evidente bisogno di avere più punti di riferimento solidi. Quindi, lì abbiamo iniziato a crescere un po’ più velocemente e nel settembre 2020 poi abbiamo detto “ok, oltre che essere una grande passione, questo può diventare il nostro lavoro” e abbiamo deciso di aprire la start up.

Livia: Diciamo che all’inizio, quando abbiamo creato la pagina Instagram, appunto facevamo l’università e quindi pensavamo che avremmo poi fatto altro nella vita, che avremmo continuato gli studi, cosa che poi effettivamente abbiamo fatto, e che Factanza sarebbe un po’ rimasta la nostra passione, il modo per sfogare quello che ci piaceva al di là degli studi. Io ero sempre stata appassionata di giornalismo, Bianca di grafica, però erano due settori su cui non abbiamo mai puntato perché li consideravamo come due settori un po’ difficili. Però poi, appunto, quando abbiamo capito che il tipo di informazione che facevamo poteva diventare l’informazione del futuro e che stavamo diventando un punto di riferimento per migliaia di persone, allora lì abbiamo detto “ok, possiamo puntare su questo e portare avanti la nostra missione” che è quella di fare buona informazione in maniera accessibile e anche fresca e accattivante.

Tommaso: Durante il vostro percorso nella creazione di Factanza, siccome siete delle imprenditrici, potete dirci magari se avete riscontrato comunque delle difficoltà nel creare il tutto?

Bianca: Certo. Allora, noi siamo uscite da economia che non sapevamo assolutamente niente di cosa fosse una start up. E questo in realtà è un problema gigantesco perché in Italia non c’è zero cultura dell’imprenditoria e quando abbiamo capito che effettivamente poteva diventare una start up, abbiamo cercato di capire come funzionasse un po’ il settore. Ovviamente eravamo due ragazze di 21 e 22 anni e il mondo start up è un mondo prevalentemente maschile e comunque di una fascia d’età completamente diversa e i media, tra l’altro, in Italia non sono un settore facile. Quindi all’inizio non è stato facilissimo interfacciarci con il mondo degli investitori. Poi la gestione e i rapporti con i vari stakeholder, con i primi clienti e così, essendo molto giovani, riuscire a essere legittimi con un interlocutore autorevole non è facilissimo.

Livia: Però in realtà secondo noi quello che Factanza porta passa anche un po’ da noi. Quindi il fatto che il mondo dell’informazione è fatto da persone di 60 anni e che ci siano delle figure con un background diverso e che anche a livello demografico hanno delle caratteristiche diverse rispetto a quello che è lo status quo nel nostro settore, per noi anche questo è importante per essere dei role model diversi e far vedere che si possono scardinare queste regole che dominano i settori tradizionali, come quello appunto del fare informazione.

Bianca: Tra l’altro il fatto di non essere giornaliste io credo che sia stato un plus perché ci ha dato modo di ripensare a un modo di fare informazione senza essere condizionate da una serie di studi che comunque ti indirizzano verso un tipo di comunicazione.

Alessia: Parlavate infatti di autorevolezza agli occhi degli investitori, parliamo però anche di autorevolezza agli occhi di chi effettivamente vi segue o che magari vorrebbe conoscervi. Come si costruisce secondo voi un’informazione autorevole su un media totalmente, forse prima oggi magari un po’ di meno, disruptive come Instagram?

Livia: Noi abbiamo cercato sin da subito di avere dei punti cardine a livello di identità che sono, in primis, quello di fare un’informazione educativa; quindi, di aiutare le persone a capire come mai una notizia è importante, qual è il contesto dietro e non dare la nostra opinione, ma dare alle persone gli strumenti per sviluppare uno spirito critico rispetto all’argomento, rispetto alla notizia, e poi farsi la propria opinione. Quindi abbiamo avuto sempre un approccio molto oggettivo. Poi Factanza ha un’identità molto chiara e anche dei valori molto chiari per cui su certi argomenti chiaramente ci esponiamo e la nostra community pretende che ci esponiamo. Ad esempio, per quanto riguarda i diritti civili oppure tutto il discorso sulla sostenibilità, sulla diversità. Però, dall’altro lato, il modo in cui noi portiamo, appunto, le notizie e diamo alle persone gli strumenti per capirle, cerchiamo di renderlo più oggettivo possibile e per questo utilizziamo sempre i dati e riportiamo le fonti. Per cui, appunto, se dobbiamo fare un’affermazione su un fenomeno o su una panoramica di un settore diciamo sempre “queste sono le fonti da cui abbiamo preso i dati per affermare ciò” e quindi ognuno poi può andare ad approfondire e a verificare. Questo è stato un po’ il nostro modo di rendere l’informazione anche più staccata da quelle che sono le nostre figure. Su Factanza non ci sono firme, per cui speriamo che anche all’esterno traspaia il metodo Factanza di fare informazione e di riportare le notizie da un punto di vista di contenuto.

Poi c’è tutto quello che riguarda la creatività, la brand identity di Factanza, e questa è la parte che ci serve per essere unici rispetto al target a cui parliamo e quindi trasmettere quella freschezza, anche quell’ironia che a volte è dietro al modo in cui parliamo di determinati argomenti.

Bianca: E poi abbiamo sentito da subito una grandissima responsabilità. Io mi ricordo quando sono arrivati i primi 300 follower. Noi ci siamo scritte e ci siamo dette “ok, adesso abbiamo una responsabilità gigantesca perché 300 persone possono essere influenzate da quello che diciamo”. Noi abbiamo sempre preso molto sul serio l’informazione, anche perché, appunto, crediamo che sia alla base di una società che funziona e quindi quel senso di responsabilità c’è stato proprio dall’inizio, con i primi follower e durerà per sempre. Questo ha fatto sì che comunque ogni informazione data, ogni post pubblicato, ogni storia fosse creata con questa consapevolezza che comunque nell’informazione basta una virgola diversa per cambiare l’opinione della persona. Quindi quando iniziano a seguirti mezzo milione di persone su Instagram, che sono comunque tutti ragazzi molto giovani e che si stanno formando delle opinioni, è fondamentale esserne ben consapevoli. Abbiamo insegnato comunque al team un metodo per comunicare, per le ricerche di dati e via dicendo perché, appunto, è una responsabilità gigantesca.

Tommaso: Io apro una parentesi sulla questione brand identity, che comunque è ben visibile, e anche sull’ironia perché Vitamine, il podcast, per me spacca. Ogni mattina mi sveglio col sorriso perché alla fine sempre mattina è per me però quando ascolto Vitamine è fantastico.

Livia e Bianca: Grazie.

Livia: Abbiamo cercato di fare qualcosa che non fosse già nel panorama dei podcast con le notizie del mattino anche perché noi ascoltiamo i podcast già presenti sul mercato. Già noi lavoriamo con le notizie e siamo sempre bombardate, in più magari ci sono quelle notizie raccontate con un tono giornalistico un po’ triste. Quindi abbiamo detto “no, facciamo qualcosa di diverso” perché vogliamo che la persona che, non so, è sull’autobus e sta andando al lavoro o a scuola, si diverta anche e abbia delle associazioni positive, anche se poi le notizie non sempre sono positive, ovviamente.

Tommaso: Ormai sappiamo che Factanza ha un certo target. Quindi molto Gen Z e Millennials, ma pensate che ci sia un modo per coinvolgere anche i cosiddetti Boomer che magari sono un po’ più scettici riguardo questi nuovi media?

Bianca: Assolutamente. Noi parliamo con Gen Z e Millennials, ma ci leggono un sacco di Boomer. È più un problema di piattaforma perché noi, facendo una comunicazione molto immediata e spiegando comunque le cose nella maniera più semplice possibile, riusciamo poi a farci leggere dal ragazzo di 17 anni alla persona di 58 anni e quando ci leggono interagiscono un sacco.

Livia: Sì, abbiamo alcuni follower tra i 50 e i 60 però loro sono in realtà molto appassionati perché a volte loro stessi non apprezzano il tipo di comunicazione del telegiornale o della stampa per cui in realtà anche loro trovano in Factanza un modo per riappassionarsi al mondo dell’attualità.

Quindi non è che c’è un divario comunicativo a livello generazionale così ampio, dal basso verso l’alto si comunica più facilmente. È dall’alto verso il basso che si riscontrano delle difficoltà, però secondo noi tra qualche anno, quando non ci sarà più questo pregiudizio sull’informazione social, la situazione migliorerà. Anche perché in realtà su Facebook è vero che dilagano fake news, ma perché è il social stesso ha una struttura che va a gruppi e a nicchie per cui non c’è un’interazione con chi sta al di fuori della propria bolla di gruppi Facebook o amici. Invece su Instagram la storia delle fake news e delle notizie spazzatura è molto limitata perché comunque, per come è strutturato il social, se c’è una notizia falsa o qualcosa di cui si sta parlando nel modo sbagliato, subito sotto ci saranno 18.000 commenti che evidenziano il fatto che ci sia stato un errore o che la notizia, appunto sia una notizia è spazzatura. Di conseguenza è sempre più evidente come su Instagram l’informazione sia effettivamente di buona qualità e non ci sia questo proliferare di fake news.

Bianca: Sì, anche perché va proprio contro la realtà che diffonde, parlo principalmente di nuovi media che si vogliono posizionare come le testate tradizionali. Mentre quando un giornale tradizionale riceve un titolo clickbait o fa un titolo clickbait, questo sì viene pubblicato su Facebook, ma non c’è il commento diretto al giornale. Su Instagram è strutturato in un modo tale per cui uno vede una volta una fake news sul tuo profilo, la vede due volte, e dice “ciao, basta, ti unfollowo”. Tra l’altro, secondo noi, dopo tutto questo casino che è stato fatto nel mondo dell’informazione, in particolare in Italia perché all’estero funziona un po’ diversamente, negli ultimi anni con i clickbait e questo modello di business non sostenibile e che ha peggiorato la qualità dell’informazione, ha peggiorato tantissimo la fiducia proprio nell’informazione, crediamo che il nuovo modello debba essere basato moltissimo sul rapporto con gli utenti, nel senso che prima era molto più “sono un lettore che leggo La Repubblica, leggo il Corriere” e via dicendo. Adesso sono un utente che fruisce dei contenuti di Factanza, interagisco in modo immersivo, creo un rapporto. Spesso ci scrivono “vi voglio bene” non sapendo assolutamente chi c’è in Factanza perché abbiamo deciso fin da subito di non mettere i nostri volti e di lasciare Factanza come un brand che ognuno potesse immaginarsi un po’ come voleva. A volte ci danno del tu, a volte del voi, del lei, perché abbiamo detto “vogliamo fare un’informazione che deve essere anche libera”.

Alessia: Tornando un po’ al discorso del fatto che oggettivamente i media tradizionali hanno avuto un approccio per il quale, fondamentalmente, adesso sono in forte crisi e sicuramente tutti hanno approfittato anche di questa decadenza, nel vero senso della parola, dei media. Non avete però la percezione che rimangano comunque dei limiti nei media? Nel senso, se io penso al grande giornalismo d’inchiesta, ai reportage, c’è tutto un livello di approfondimento che credo sia un po’ difficile da riuscire a replicare su Instagram.

Livia: Sì, questo assolutamente. È anche una questione di risorse economiche, nel senso che il giornalismo d’inchiesta richiede grossi investimenti che i nuovi media, soprattutto nel panorama italiano visto che siamo tutte start up senza chissà quali capitali dietro, non hanno. È difficile proprio da un punto di vista di dinamica del social, per cui se faccio un’inchiesta lunga e la voglio mettere su Instagram e la vedono poche persone, magari ho investito svariate migliaia di euro, ma è meno conveniente da quel punto di vista. Per cui servono realtà grosse, strutturate per fare questo tipo di contenuto.

Dall’altro lato, a livello di formati, c’è comunque spazio perché le media company non sono una pagina Instagram, ma sono sempre di più dei soggetti che operano a livello multicanale. Per cui, ad esempio, sui podcast c’è molto più spazio per delle inchieste. Su YouTube anche, sta venendo sfruttato sempre di più, oppure, ad esempio, fare dei long format su siti web o tramite delle newsletter. Lì secondo me si riesce a fare un’offerta informativa più completa anche a livello di formato e si riesce a creare dei prodotti editoriali che vadano bene per diverse nicchie con diversi bisogni. Su Instagram è più un mix di tante persone da chi vuole l’informazione più veloce a chi vuole quella più approfondita, devi trovare il modo per accontentare un po’ tutti. Però con una strategia multicanale, come stiamo cercando di fare noi con Factanza, c’è comunque spazio per approfondimenti e altri tipi di formati come l’inchiesta. Per certi contenuti, vorremmo che ci fosse un po’ più di collaborazione tra le grandi realtà che hanno appunto la potenza di fuoco per finanziare questi progetti e capire come renderli poi accessibili anche per le persone che si informano sui social. Secondo noi serve, nessuno può rivoluzionare da solo tutto il panorama dell’informazione.

Bianca: Diciamo che noi adesso siamo prevalentemente su Instagram e TikTok perché lì riusciamo a raggiungere gli utenti che ci interessano e riusciamo a creare una community. Però, per il futuro, quello che vediamo per Factanza è il brand dell’informazione per le nuove generazioni che poi parlerà su Instagram, su TikTok, sul Metaverso e via dicendo. Quindi ora è focalizzato principalmente su questi social perché è lì che stanno le persone che hanno bisogno di informazione.

Tommaso: Abbiamo parlato un po’ dei formati diversi a seconda dello strumento, però volevo capire un po’ come conciliate la necessità di approfondimento con la velocità dei social in generale.

Livia: Certo, secondo noi comunque c’è spazio di approfondimento sui social. Nel senso, un nostro post è una pagina e mezza/due pagine di documento Word perché comunque in 10 slide più caption riesci a scrivere più o meno quello che scrivi su un articolo tradizionale. Dall’altro lato, noi non crediamo che la lunghezza di un contenuto significhi qualità del contenuto nel senso che, anzi, per riuscire a spiegare in meno parole un concetto complesso, devi averlo capito molto bene. Sulle testate tradizionali spesso si trovano articoli molto lunghi che poi finisci di leggerli e dici “ok, non mi ha spiegato assolutamente quello che volevo capire”.

Bianca: Nel titolo c’è “ecco perché sta succedendo questa cosa” e tu dici “che bello, finalmente lo capisco”, poi le leggi e ci sono anche dei giri di parole lunghissimi e non ti è rimasto niente.

Livia: Anche perché lavoravano molto in ottica SEO le testate e questo, per forza di cose, fa scrivere più volte le stesse parole per comparire nei ranking e penalizza un po’ la qualità del contenuto. Quindi da un lato questa cosa del fatto che comunque c’è spazio per la qualità anche in un contenuto più breve e dall’altro cerchiamo di usare, ad esempio, se dobbiamo parlare di una tematica per cui non basta un contenuto, facciamo una miniserie in cui trattiamo l’argomento in più puntate oppure abbiamo fatto articoli su un sito di approfondimento. Quindi cerchiamo di usare un po’ i mezzi che ci danno i social e plasmare dei contenuti che possano soddisfare sia il bisogno di un contenuto facilmente fruibile e accattivante che il bisogno di un’informazione di qualità e di approfondimento.

Alessia: Vi faccio una domanda da un milione di euro, anche se magari la risposta è scontata.

Tommaso: Aspetta, aspetta. È il momento, allora, di presentarvi Nic, il nostro buzz. Nic sta per Not Interesting Content; quindi, se pensate che dopo questa domanda vorrete premerlo, fatelo pure tranquillamente.

Alessia: No, dicevamo, la questione di come le media company sempre più tenderanno in futuro a utilizzare quanti più canali di comunicazione possibili per diverse forme di giornalismo più o meno approfondito. Ma secondo voi il new normal saranno, appunto, queste tipologie di media company o comunque i media tradizionali e, quindi, la carta stampata ha ancora modo di sopravvivere nei prossimi anni o verrà del tutto soppiantata?

Livia: Allora, secondo me, per la carta stampata ci sarà sempre spazio perché va bene il digitale, il virtuale, però comunque le persone vogliono ancora avere qualcosa in mano ed è anche il piacere di avere un oggetto da sfogliare, da leggersi anche staccando un po’ la testa senza dover avere sempre 2000 stimoli o essere comunque indirizzati da un algoritmo perché penso che gli utenti avvertano sempre di più questa pressione. Tipo dover visualizzare 200,000 contenuti, poi non ritrovi più quello che ti hanno fatto vedere prima; a volte è un po’ caotica come modalità di fruizione per cui la carta stampata non scomparirà, scompariranno alcuni formati. Ad esempio, probabilmente il giornale di 60 pagine o anche di più che ogni mattina ha delle notizie che magari sono già vecchie nel momento in cui arriva in edicola è un tipo di formato che ha sempre meno senso. Dall’altro lato, però, ad esempio dei giornali di alta qualità che magari escono una volta a settimana, una volta al mese, con approfondimenti, con inchieste e con un tipo diverso di formato, quelli assolutamente prenderanno sempre più piede e lasciano spazio ad approfondimenti che magari sui social o sulle piattaforme digitali, che vogliono dare più spazio alla notizia fresca e più accattivante, non trovano spazio. Quindi ci saranno dei prodotti un po’ più premium, come può essere un esempio l’Internazionale, e poi comunque con la carta stampata noi abbiamo scritto due libri; quindi, piace anche a chi è appassionato di informazione digitale.

Alessia: Avete citato, giustamente, uno dei vostri libri che è “Capire il presente”, edito da Gribaudo, e in una delle parti iniziali voi date quelle che sono cinque regole, se ben ricordo, su come informarsi al meglio, quali sono?

Livia: Diciamo che queste sono alcune regole che servono per riconoscere ad esempio le fake news e capire come orientarsi in maniera indipendente senza non poter mai mettere in discussione quello che si trova sia sul web che sulla carta stampata. Quindi, in primis, capire quali sono i titoli clickbait e i quali devono essere poi approfonditi perché spesso ci sono delle notizie che sono così assurde che non possono essere vere; quindi, questo è il primo consiglio che diamo: se c’è qualcosa di estremamente scandaloso o di assurdo probabilmente è stato fatto per farti aprire l’articolo e avere le visualizzazioni in più. Poi, un altro consiglio riguardo, ad esempio, i virgolettati che vengono riportati sia sui social che sui giornali: molto spesso sono decontestualizzati rispetto alla frase in cui erano inseriti e questo ci porta a tantissimi problemi perché magari, appunto, sono dei virgolettati che sono estratti apposta per creare indignazione e creare magari delle onde di odio nei confronti di una persona e poi invece si scopre che il ragionamento fatto da quella persona non era estremo.

Bianca: Poi, non fidarsi degli esperti, nel senso di non fidarsi di una figura che è esperta in geopolitica e fa un commento su medicina. Dopodiché, è essenziale imparare ad analizzare le fonti. Prima di tutto, ad esempio, per gli studi statistici per capire se il campione su cui è stato fatto è un campione rilevante. Se noi parliamo di un titolo che viene usato spesso come “scoperta cura per il tumore, studio fatto su 50 persone”, probabilmente non sarà un campione rilevante oppure se viene fatto uno studio che ha solo determinate caratteristiche demografiche dei partecipanti. Dopodiché capire anche se gli studi sono pubblicati ad esempio da fonti che hanno dei conflitti di interessi, anche questo può essere un campanello d’allarme. Poi, cercare di prendere sempre le fonti istituzionali.

Livia: Bisogna confrontarsi con le fonti del luogo e non con quello che riportano delle imprecisioni.

Alessia: Allora, parlavamo di autorevolezza, quindi quanto è importante il lavoro che c’è dietro la pubblicazione di notizie, però parliamo forse anche di attivismo. La percezione che abbiamo è che la Gen Z e i Millennials siano molto più attivisti, abbiano dei valori più forti e concreti rispetto alle generazioni precedenti. Quanto questo si riflette nel modo in cui voi comunicate? Perché giustamente avete detto che per voi ci sono determinati filoni legati ai diritti civili, per esempio, ma non solo che sono fondamentali. Quanto, quindi, questa vostra scelta editoriale va di pari passo con l’attivismo delle nuove generazioni che sicuramente fanno la più grossa percentuale della vostra community?

Livia: Per le nuove generazioni è molto importante il lato valoriale, anzi fondamentale e non è pensabile il fatto di non esporsi su alcune tematiche che riguardano, ad esempio, l’inclusività perché è proprio una rivoluzione culturale e se Factanza è la voce delle nuove generazioni non può far finta che non ci sia e non sbilanciarsi su alcune tematiche, ma non sbilanciarsi in senso attivista, ma in senso divulgativo. Quindi educare le persone a parlare bene di questi temi e non in maniera troppo divisiva e dare a tutti gli strumenti per comprendere come si stanno evolvendo questi valori, la cultura, il sociale senza imporre un punto di vista, ma in modo anche molto moderato, molto educativo. Diciamo semplicemente quali sono i motivi per comprendere chi è pro e chi è contro e questo, secondo noi, è fondamentale per creare dialogo su questi temi che sia costruttivo e che non sia divisivo.

Bianca: Ci piace l’attivismo più moderato.

Alessia: Io volevo un po’ riprendere il tema di TikTok che avete menzionato prima. C’è sempre un po’ questa diatriba su Instagram, TikTok, come si comunica su un canale piuttosto che un altro. La vostra community si differenzia su TikTok? E, soprattutto, che tipo di taglio avete deciso di adottare come Factanza su TikTok per avvicinarvi a questo pubblico?

Livia: Su TikTok abbiamo dovuto completamente rivoluzionare il formato perché la grafica, il visual e lo scritto non funzionano, è un social fatto per i video; quindi, abbiamo una persona, che è Matteo Cecherino, la voce del podcast, che fa i video. Ovviamente la brand identity è la stessa, nel senso, i principi cardine sono quelli. È anche vero che su TikTok, a volte, almeno sul nostro profilo, sono meno effective i contenuti più riflessivi, più educativi su determinate tematiche e va molto di più il contenuto proprio diretto sulla notizia, su quello che succede. Per cui, a livello editoriale, abbiamo molta rassegna stampa, molta curiosità, molte notizie flash, meno la parte più divulgativa, educativa, psicologica e sociale che invece su Instagram ha una parte più importante. Infatti, anche a livello di community è molto più giovane ovviamente, ma questo per una questione di piattaforma ed è anche una community che su certi temi è meno sensibile, però il nostro scopo è quello di fare informazione quindi continuiamo comunque a farla e magari ogni tanto ci indirizziamo più per finire in diverse community con l’algoritmo e non rimanere chiusi nel cerchio dell’informazione più cruda.

Tommaso: Per chiudere la puntata chiediamo sempre ai nostri ospiti di dire una cosa al volo, qualsiasi essa sia. Quindi diteci una cosa al volo, qualsiasi cosa.

Bianca: Io sono già ubriaca alle 11 con un bicchiere di birra! Ahahah

Alessia: Grazie mille per questa chiacchierata, è stata super interessante. Noi vi consigliamo, ancora una volta, “Capire il presente” edito Gribaudo e, soprattutto di seguire Factanza.

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