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TEAM LEWIS LEWIS

Di

Kirsty Mears

Pubblicato il

marzo 9, 2021

Tag

Influencer, influencer marketing, social media marketing

Gli influencer in viaggio per Dubai e per altre destinazioni esotiche sono stati al centro di una tempesta online, scatenata da chi continua a essere bloccato in casa (o almeno in città). È l'inizio di una reazione più profonda contro l'eccessivo consumismo?


Per anni, la cultura degli influencer si è basata sul desiderio, l’aspirazione e il sogno, con foto su Instagram studiate per mostrare la bellezza e il fascino di viaggi, lusso e ricchezza. I follower di questo tipo di account sono saliti alle stelle. Molti brand, soprattutto quelli di fast-fashion come Pretty Little Thing, hanno saputo cogliere i benefici delle collaborazioni con personaggi come Molly-Mae e altri influencer di Love Island per espandere rapidamente la loro base di clienti.

La pandemia, però, ha evidenziato la disparità di ricchezza e privilegio come mai prima d’ora. Dalle foto scattate sulle spiagge di Dubai, alla festa di compleanno sull’isola privata di Kim Kardashian, molti sono stati accusati di una risposta sottotono a una seconda ondata particolarmente letale.

La fame di contenuti continua

Questo non significa affatto la fine della cultura degli influencer. Piuttosto, la pandemia ha accelerato la quantità di tempo che trascorriamo a scorrere sui nostri telefoni guardando i post. Negli Stati Uniti, lo scorso anno, gli utenti hanno passato circa 3 ore e 13 minuti ogni giorno sui propri smartphone. Nel Regno Unito, il coinvolgimento sulle piattaforme social continua a crescere, con una previsione di quasi 51 milioni di utenti entro il 2025. In definitiva, c’è ancora una grande fame di contenuti sui social media e gli utenti continueranno senza dubbio a seguire gli account degli influencer.

Cambio di prospettiva

Ma l’eccessivo consumismo sta cominciando a raggiungere il suo picco, facendoci cambiare prospettiva sui contenuti così glamour? Iniziamo a vedere qualche crepa. Prendiamo la campagna #filterdrop, che la scorsa estate ha attirato l’attenzione sull’uso dei filtri usati dagli influencer nel promuovere prodotti di bellezza. Questo ha portato recentemente l’Advertising Standards Authority a vietare a due marchi di cosmetici di promuovere i propri prodotti con l’uso di filtri sulle storie di Instagram, oltre a controlli più severi per prevenire la creazione e diffusione di contenuti fuorvianti sui social media. Inoltre, crescono le critiche contro gli influencer che non accompagnano i propri post sponsorizzati sui social con l’indicazione “Ad”. Tutto questo porta a chiedersi se le persone non si stiano stancando di queste false pretese di perfezione.

Per le giovani generazioni in particolare è dannoso essere esposti a una perfezione che, in realtà, è solo un mucchio di filtri. Ma le cose stanno cambiando. Il rapporto di Dazed media sulla cultura giovanile dell’anno scorso, ha rivelato che solo il 6% del suo pubblico è stato spinto all’acquisto di un prodotto dopo averlo visto postato da un influencer con oltre 100.000 follower. Come Izzy Farmiloe, direttore strategico di Dazed Media ha detto a The Guardian:

A nessuno, ma specialmente non alla Gen Z, piace che gli si menta, e la cultura dell’influencer inizia ad apparire frivola e senza importanza, specialmente con la pandemia. Comprare prodotti non è ciò che è importante in questo momento. Si tratta, piuttosto, di rappresentare qualcosa, come dei valori o la partecipazione a una causa, al di là del semplice tentativo di promuovere e spingere un prodotto.

Consumatori attenti alle cause

I consumatori sono sempre più attenti alle cause e ai valori dei brand, ai quali richiedono maggiore impegno. La loro interazione va oltre la transazione. La pandemia ha sottolineato e gettato nuova luce su questioni sociali che i marchi dovrebbero affrontare tanto quanto i governi e i cittadini: maggiore riconoscimento e sostegno alla salute mentale, maggiore attenzione alla sostenibilità e alla trasparenza nella supply chain, e un maggiore bisogno di affrontare la diversità e l’inclusione, messo in evidenza dalle proteste del movimento Black Lives Matter della scorsa estate.

 

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Un post condiviso da Chiara Ferragni ✨ (@chiaraferragni)

La pandemia ci ha insegnato a essere più pazienti che mai, restando a casa per proteggere le nostre comunità, in trepidante attesa dei vaccini. Ci ha anche insegnato a essere grati per ciò che abbiamo, visitare i nostri cari o incontrare un amico a pranzo, a discapito del desiderio di raggiungere la falsa perfezione ostentata sui social media.

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